Alla scoperta dei confini nel mondo antico: le Colonne d’Ercole.

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“Al di là delle colonne d’Ercole non v’è più nulla di sicuro, è il vuoto e la pazzia.” (Luigi Giussani)

“Io e’ compagni eravam vecchi e tardi/quando venimmo a quella foce stretta/ dov’Ercule segnò li suoi riguardi” (Dante Inferno XXVI).


Il secondo appuntamento della rubrica “Viaggio alla scoperta dei confini nel mondo antico” siamo alla scoperta di una frase molto utilizzata e conosciuta.

La Colonne d’Ercole vengono collocate geograficamente nelle vicinanze dello stretto di Gibilterra.

La Colonna “nord” è solito essere collocata sulla Rocca di Gibilterra, un promontorio che sorge nell’omonima città, territorio d’oltremare britannico che si trova all’estremo sud della penisola iberica.

stretto Gibiliterra
stretto Gibilterra

La Colonna “sud” viene collocata sulla montagna Jebel Musa oppure sul Monte Hacho, una piccola collina che sorge nella città di Ceuta, enclave spagnola situata nel Nordafrica e circondata dal Marocco.

Nella letteratura classica occidentale indicano il limite estremo del mondo conosciuto. La loro esistenza nell’antichità è solo presunta e oltre che un concetto geografico, esprimono metaforicamente anche il concetto di “limite della conoscenza”.

I nomi originale risalenti al mito delle Colonne d’Ercole, alla cui pendici sorgerebbero le colonne, sono Calpe (il monte sul versante europeo dello stretto di Gibilterra) e Abila (il monte sul versante africano).

Più che un luogo geografico il monito posto dal mitologico Ercole identifica la frontiera del mondo civilizzato e, come tale, non può fare altro che seguire il progredire delle scoperte geografiche e l’avanzare delle rotte navali.

La storia delle Colonne d’Ercole si intreccia a filo stretto con il mito di Ercole (Eracle per i Greci).

ercole_colonne
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Alcune ricostruzioni del mito parlano di Ercole che, durante uno dei suoi molti pellegrinaggi, giunse alle pendici dei monti Calpe e Abila, due ostacoli naturali. Nel mondo antico questi delineavano i confini del mondo occidentale che gli uomini non dovevano in alcun modo oltrepassare.

Sulle rive dello stretto di Gibilterra (sul quale si affacciavano i due monti), Ercole fece erigere due colonne, le quali erano sormontate da una statua che raffigurava un uomo. Essa era rivolta a est (ossia verso la direzione dalla quale provenivano i navigatori) e recava nella mano destra una chiave, quasi ad indicare l’intenzione di aprire una porta, mentre nella sinistra teneva una tavoletta che recava l’iscrizione “non plus ultra”, vale a dire “non più oltre”.

Cosa c’era secondo il mondo antico oltre le Colonne d’Ercole?

Platone vi colloca Atlantide, mitica isola ricca di argento e di metalli, potenza navale conquistatrice che novemila anni prima dell’epoca di Solone (630-650 a.c.), dopo avere fallito l’invasione di Atene, sprofondò in un giorno e una notte.

Dante invece oltre il confine della Colonne d’Ercole pone il monte del Purgatorio, ad una distanza di cinque mesi di navigazione. Nel racconto di Dante nella Commedia, Ulisse riesce a vedere il monte prima che lui e i suoi compagni vengano travolti da un turbine divino (Canto XXVI).

Il peccato di Hybris, la tracotanza, era una delle dannazioni maggiori per il mondo antico e in particolare quello greco.

Andare contro i propri limiti, secondo l’etica dei Greci, era un fatto gravissimo che denotava non solo un atteggiamento arrogante – hybris, ‘tracotanza’ –, ma costituiva una vera e propria forma di ignoranza: l’incapacità di stare al proprio posto.

Secondo Platone, l’armonia della città poteva darsi solo se ognuno realizzava il ruolo che gli era proprio, il ruolo che la natura gli aveva assegnato – la missione che gli dei avevano scelto per lui.

Noi non possiamo scegliere la nostra essenza, le nostre qualità, le nostre virtù come i nostri difetti; quello che possiamo scegliere è l’uso che possiamo fare di ciò che la natura ci ha dato, un uso sapiente o un uso incolto.

Le parole “Non plus ultra” incise sulle Colonne stavano a significare un limite geografico. “Non andare oltre, non superare i tuoi limiti” diventava così un imperativo morale: non essere arrogante, non avere ambizioni troppo elevate, rispetta la tua natura e il volere degli dei.