Viaggio in Albania: Butrinto, sito Unesco fuori pericolo dal 2005. Esempio di utilizzo sostenibile del patrimonio culturale.

Battistero paleocristiano Butrinto
Battistero paleocristiano Butrinto

“Subito vediamo sparire le aeree rocche dei Feaci;
costeggiamo le spiagge dell’ Epiro ed entriamo nel porto Caonio
e ci avviciniamo all’alta città di Butrinto.” (Virgilio, Eneide)

“L’archeologia non è quello che si trova, è quello che si scopre.”
(David Hurst Thomas)

 

Viaggiare da nord verso sud in Albania vuol dire trovarsi di fronte paesaggi diversi.

Non a caso è stato più volte messo in evidenza dai viaggiatori come questo paese possa rappresentare in miniatura il paesaggio dell’intera Europa.

Il paesaggio cambia da nord a sud, dal lago di Ohrid, quasi mistico, mittel europeo e nordico, alle insenature del mediterraneo con le spiagge e il mare incontaminato.

E viaggiare in Albania vuol dire anche assaporare luoghi che parlano di storia antica, come è accaduto nella visita di Butrinto.

Butrinto (in albanese Butrinti) è una città e un sito archelogico, a pochi chilometri dal confine greco.

Raggiungibile da Saranda grazie alla strada costruita nel 1959 per la visita di Chruščёv in Albania, è un’attrazione turistica sempre più importante, distante mezz’ora di aliscafo da Corfù.

Abitata fin dai tempi della preistoria, Butrinto era una città appartenente alla civiltà Illirica, per poi essere colonizzata dai greci e dai romani.

Nei racconti mitologici Enea, nel suo viaggio verso l’Italia, incontra Andromaca a Butrinto.

Enea e Andromaca a Butrinto
Enea e Andromaca a Butrinto di Wenceslaus Hollar  (fonte wikipedia).

Lo storico Dionigi di Alicarnasso scrisse che Enea visitò Butrinto dopo la sua stessa fuga dalla distruzione di Troia, e Virgilio ricordò la città in alcuni versi del suo poema dedicato all’eroe troiano e che abbiamo riportato all’inizio di questo articolo.

Butrinto in origine era una città della storica regione dell’Epiro, con contatti con la colonia greca di Corfù e le tribù dell’Illiria a nord. I resti archeologici più antichi datano ad un periodo compreso fra il XII e XIII secolo A.C.

Nel III secolo gran parte della città venne distrutta da un terremoto che rase al suolo parecchi edifici del foro e dei dintorni.

Dal VII secolo Butrinto si ridusse ad una piccola città fortificata e, in breve, venne conquistata dal primo impero bulgaro, prima di essere riconquistata dai Bizantini nel IX secolo.

I primi moderni scavi archeologici cominciarono nel 1928 quando il governo fascista italiano mandò una spedizione in quest’area.

Gli scopi oltre che scientifici avevano anche ragioni geopolitiche, puntando ad estendere l’egemonia italiana nella zona.

La spedizione era condotta da un archeologo italiano, Luigi Maria Ugolini, che fece un ottimo lavoro portando alla luce le costruzioni greche e romane di duemila anni prima.

Dopo che il governo di Enver Hoxha prese il potere nel 1944, le missioni archeologiche straniere vennero bandite.

Inoltre con il suo arrivo nel 1959 il primo ministro russo Nikita Chruščёv suggerì a Hoxha di convertire l’area in una base sottomarina, cosa realmente accaduta vicino a Porto Palermo.

A partire dal 1993 furono riprese le ricerche archeologiche all’interno ella città di Butrinto dimostrando l’esistenza di una colonia romana databile ad età augustea, attraversata da un imponente acquedotto che riforniva la città.

Basilica_romana_Butrinto
Basilica_romana_Butrinto

Interessante sottolineare come, dopo la caduta del regime comunista nel 1992, il nuovo governo democratico progettò di sviluppare turisticamente il sito di Butrinto, e lo stesso anno esso divenne parte dell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

Inserito nel 1997 nella lista dei siti in pericolo, ne uscì con l’istituzione del Parco nazionale di Butrinto, sviluppato nel 2000 anche grazie ad aiuti internazionali, così nel 2005, oltre che salvare Butrinto, il Parco Nazionale entrò a far parte dell’elenco dei Patrimoni dell’umanità.

Le difficoltà riscontrate e il superamento delle stesse hanno portato Butrinto ad essere considerata un modello di come le comunità locali in paesi in via di sviluppo possano essere responsabilizzate attraverso l’utilizzo consapevole e sostenibile del patrimonio culturale.